(LUIGI GARLANDO) – Mario Balotelli si era preparato a combattere. Sapeva che le emozioni gli avrebbero teso un agguato nel canyon di Napoli e gli sarebbero saltate addosso come visi pallidi. Perciò nel cuore di una delle settimane più emozionate della sua vita, si era calato sul viso la maschera del guerriero. Era tornato da Amos, parrucchiere di fiducia, e aveva issato nuovamente la cresta, ornata da simbologie maori e da orgoglio tribale. Rinnegata con due colpi di forbice la normalizzazione di ottobre, quando, sotto la regia Allegri-Raiola, Super Mario si era spianato il cranio, aveva staccato i brillanti dai lobi e aveva dato qualche turno di riposo alla Ferrari.
Ma le intenzioni sono state travolte dagli eventi. Il test del Dna ha convinto Balotelli della paternità e il ragazzo ne ha urlato la gioia con un tweet, con un anno di ritardo: «Pia… Dolce bimba mia!!! Tuo padre». Una gioia oltre i 140 caratteri, difficile da mettere in conto, impossibile da arginare, che lo ha già spinto ad attrezzarsi in un negozio di articoli per neonati. E sabato scorso, avrebbe dovuto giocare proprio a Napoli, nella città di Pia. Così si è messo addosso la maschera Maori, pronto ad affrontare quella tempesta da emozioni. Ma hanno vinto i visi pallidi. Le emozioni lo hanno schiantato.
Mario era calato in Campania con la convinzione di poter vedere per la prima volta sua figlia, in un modo o nell’altro. Negli ultimi anni di celebrata esistenza poche volte ha fatto esperienza di qualche cosa che gli fosse precluso. Ma i legali gli hanno perentoriamente negato la possibilità, anche a costo di rimettere il mandato, spiegandogli che quel primo incontro, per quanto umanissimo, esigeva un percorso di avvicinamento, una preparazione burocratica che sminasse qualsiasi rischio, con cause in corso.
Lacrime – Maori Una porta in faccia. Una frustrazione che gli ha intossicato i pensieri e lo ha fatto scendere in campo al San Paolo come uno zombie, mettendolo nelle condizioni di incassare una seconda frustrazione: la mancata dedica a Pia di un gol o di qualcosa di bello. Dopo un infruttuoso vagabondaggio, Balotelli è stato sostituito da Pazzini. Alle ferite dell’uomo, si è aggiunto l’avvilimento del professionista: il mancato aiuto al Milan e a Seedorf, cui è legato da sentimento forte; l’orgoglio ferito dal confronto umiliante con Higuain che ha dominato la notte del San Paolo. Così Mario si è accomodato in panchina ed è scoppiato a piangere, come un bambino. Non come un Maori. Mentre Zvone Boban, a nome di tanti, sentenziava: «Mario Balotelli non è un campione. Sbaglia tutte le partite importanti. Io non gli costruirei attorno il Milan del futuro»; e mentre l’orologio Fifa che scandisce il tempo, ricorda che mancano solo 121 giorni al Mondiale.
Bisogno d’amore – C’è una frase di Cesare Prandelli che, a detta della signora Silvia, madre di Mario, è il miglior codice di accesso al tempestoso mondo emozionale del ragazzo: «Mario ha bisogno di amore». Se lo trova, cambia, divampa. L’amore di Pia è una cosa nuova, potente. L’amore di Fanny Neguesha si sta raffinando nel tempo. La modella belga è diventata una presenza discreta, apprezzata anche per questo. Dopo alti e bassi, strappi e ricuciture, Fanny ha preso il profilo di un appoggio costante, prezioso per Mario che non ha mai nascosto il desiderio di formarsi presto una famiglia sua. Ci arriverà con il suo passo e con i suoi sbalzi, ma è bisogno fortissimo, figlio di un’esperienza di abbandono, che l’avvento di Pia potrebbe ulteriormente esasperare.
Nonostante le strategie manageriali di Mino Raiola abbiano tagliato fuori la famiglia Balotelli dalla gestione professionale di Mario, i legami con genitori e fratelli restano fortissimi e questa resta la migliore garanzia di crescita interiore. Non si sentirà ripetere soltanto: «Fa ciò che ti conviene».
Come Ibra – Mario è figlio della guapperia tattica di Zlatan Ibrahimovic che pretende la palla tra i piedi e la gioca come vuole, dove vuole, anche lontano dalla porta. Spiegava Allegri: «Mario sa che negli ultimi 30 metri può fare gol quando vuole e non ha bisogno di altro». Come il leone che sa di potersi pappare la gazzella con tre balzi: perché dovrebbe studiare strategie di caccia? Balotelli si sente così benedetto dalla grazia tecnica e dalla potenza atletica, che arretra, si fa dare palla, guarda la porta e spara o detta, sicuro di risolvere. Alla Ibra. Si intuisce dalla corsetta ciondolante, a gomiti alti, che Balotelli sdegna con riluttanza, come un viaggio in terza classe, l’ipotesi di una corsa vera, ingobbito, col fiatone. E invece se aggredisse la profondità come fa Higuain, se spendesse la sua straripante fisicità al centro dell’area e in cielo per colpire di testa, se ogni tanto scatenasse la sua accelerazione in fascia, senza vergognarsi di mostrarsi scomposto nello sforzo, darebbe finalmente fuoco alle sue potenzialità, diventerebbe un attaccante completo.
Cesare sa – Tocca ai suoi allenatori completarlo tatticamente. La speranza, per il Milan, è che il debuttante Clarence Seedorf sia attrezzato per farlo. Un conto è fare, un altro è insegnare. Di sicuro è attrezzato il maestro Prandelli, cresciuto svezzando talentini, il tecnico che è riuscito a ottenere di più da Balotelli, in campo e fuori. In Nazionale, Mario attacca la profondità sui lanci di Pirlo, segna di testa alla Germania, sgobba in fascia e nei recuperi. Prandelli ha imparato che Balotelli non deve essere lasciato solo con il suo istinto. Deve ricevere ordini ben codificati. Pochi, ma chiari. Per esempio: «Se stai fermo, i centrocampisti non te la danno. Hanno l’ordine di non passartela». E Mario attacca la profondità. Corre. Anche perché ama l’azzurro come poche cose.
Ci risiamo: vedete? Amore e buoni maestri. E magari anche la Champions, la coppa dei più bravi, che tra una settimana offrirà un’orgogliosa occasione di rivincita. Questa è la strada per salvare il soldato Balotelli. E noi siamo sicuri che si salverà.
Fonte: Gazzetta dello Sport