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29 trofei, le intuizioni, i campioni: il Milan di Silvio Berlusconi, trent’anni irripetibili

È morto Silvio Berlusconi, il presidente più vincente della storia del Milan. I trionfi, le incredibili intuizioni, i campioni: la storia dell’era calcistica più incredibile di sempre

Silvio Berlusconi ci ha lasciati. A 86 anni, l’ex presidente del Milan è venuto a mancare all’Ospedale San Raffaele dopo un breve ricovero in terapia intensiva. Nell’ultimo periodo le sue condizioni erano in peggioramento con controlli e corse al pronto soccorso sempre più frequenti.

L’era Berlusconi al Milan, trent’anni irripetibili – MilanLive.it

Una notizia che scuote l’intero paese, in qualsiasi ambito. Berlusconi ha rivoluzionato la politica, la tv e soprattutto il calcio. Il 20 febbraio del 1986, dopo quasi un anno di trattative, acquista il Milan e nei successivi trent’anni scriverà pagine di storia irripetibili. Non solo per i trofei (26 da presidente, 29 da proprietario) ma anche per le intuizioni e le ingenti quantità di danaro spesi per comprare i migliori campioni in circolazione, fino all’ultimo Scudetto del 2011. Da quel momento in poi, e in particolar modo con la decisione obbligata di tagliare i costi – i sofferti addii delle bandiere, di Ibrahimovic e di Thiago Silva -, è iniziata una lunga crisi, culminata con la cessione (sofferta, ma inevitabile) del club nell’aprile del 2017 a Yonghong Lì.

Gli inizi e la prima grande intuizione

Le intenzioni di Berlusconi erano chiarissime fin dai primi giorni. “Il Milan dovrà scendere in campo con una missione: essere padroni del campo e comandare il giuoco“. Vincere non basta: bisogna farlo con stile. Nessuno prima di allora aveva parlato così nel calcio. Ed è così che iniziò una vera e propria rivoluzione.

Silvio Berlusconi è morto: la sua storia da presidente del Milan – MilanLive.it (ANSA)

I primi passi: Adriano Galliani amministratore delegato – personaggio chiave e decisivo per il successo del progetto – e Ariedo Braida direttore sportivo. Così è potuta iniziare la costruzione della squadra che da lì ai prossimi anni avrebbe comandato il mondo.

Roberto Donadoni il primo acquisto (segnalato un anno prima da uno storico report di Italo Galbiati, anche lui deceduto poco tempo fa) per 10 miliardi di lire. In panchina confermato Nils Liedholm, ma solo per poco. Dopo un breve periodo da traghettatore di Fabio Capello, ecco la prima grande intuzione di Berlusconi: Arrigo Sacchi, uno sconosciuto fino ad allora. Con lui in panchina e con Gullit, Van Basten e Rijkaard in campo una serie di successi incredibili, in particolar modo le due Coppe dei Campioni di fila vinte nel 1989 (4-0 allo Staua Bucarest in un Camp Nou con 80mila tifosi rossoneri) e nel 1990. In pochi anni il Milan di Berlusconi era sul tetto del mondo rivoluzionando il calcio, giocando come nessuno aveva mai fatto fino a quel momento.

L’arrivo di Capello e gli anni bui

Sostituire Sacchi sarebbe stato un compito complicato per tutti ma non per un visionario come Berlusconi. Al suo posto “torna” Capello, che aveva già allenato per pochissime partite il Milan dopo l’addio di Liedholm come traghettatore.

Berlusconi e l’intuizione Sacchi: gioco e vittorie – MilanLive.it (ANSA)

Fino ad allora aveva allenato solo la Berretti e la Primavera dei rossoneri. Il rischio era altissimo: come nel caso di Sacchi, il presidente stava affidando una squadra di campioni ad un esordiente (o quasi). Anche in questo caso l’intuizione ha dato i suoi frutti.

Con Capello il Milan vince ancora tantissimo. Non gioca bene come quello di Sacchi, ma è straordinario allo stesso modo e soprattutto raggiunge un clamoroso record: 58 partite senza sconfitte e l’imbattibilità di Sebastiano Rossi per 929 minuti (battuto solo da Buffon nel 2016 ma in un campionato tre volte inferiore per competitività e qualità degli avversari). Nel 1994 un’altra Coppa dei Campioni, ad Atene, contro il fortissimo Barcellona di Johann Cruijff: un 4-0 senza diritto di replica, con il leggendario gol di Savicevic, uno dei giocatori più amati dell’era Berlusconi dai tifosi rossoneri (e non solo).

Ci si ricorda sempre delle vittorie ma il Milan di Capello arrivò in finale di Coppa dei Campioni per tre anni di fila: 1993, 1994, 1995. L’aveva vinta nel 1990 con Sacchi a Vienna contro il Benfica e nel 1991 non partecipò per squalifica (dopo i fatti di Marsiglia). Un dato davvero incredibile.

Dal 1996 al 1998 un periodo di “crisi”. Gullit e Van Basten non ci sono più, il bis di Capello e Sacchi stavolta non ha dato i suoi frutti, Baresi e Tassotti si sono ritirati. Paolo Maldini, la vera icona di quello straordinario Milan, diventa capitano, leader e simbolo. E nel 1999 alzerà al cielo lo Scudetto dopo anni di magra: una cavalcata straordinaria quella dei ragazzi di Zaccheroni, che per certi versi somiglia molto a quello vinto da Pioli lo scorso anno.

L’era Ancelotti e l’ultimo trofeo

Nel 2001 inizia un altro capitolo della storia del Milan berlusconiano. Dopo l’addio di Zaccheroni (inevitabile per le divergenze con il presidente sul modulo), si alternano Tassotti-Cesare Maldini e Terim, senza grandi risultati, fino all’arrivo di Carlo Ancelotti. Un allenatore diverso da tutti gli altri: un po’ Liedholm, un po’ Sacchi, un po’ Capello.

Berlusconi e l’era Ancelotti: altre due Champions League – MilanLive.it (ANSA)

Intanto sono arrivati Shevchenko (ancora su imbeccata di Galbiati), Alessandro Nesta, Clarence Seedorf, Andrea Pirlo e tanti altri giocatori: su di loro si costruirà l’ultimo grande ciclo milanista con Berlusconi alla guida.

Nel 2003 la quarta Champions League da presidente, nel 2007 la quinta e ultima. In mezzo uno dei momenti più difficili della sua era: la sconfitta a Istanbul contro il Liverpool di Rafa Benitez. Una macchia nera, così come il buio (in tutti i sensi) al Velodrome nel 1991 che costò un anno di squalifica. Ma, come allora, “pulite” in poco tempo e facendo quello che ha sempre fatto: vincere.

L’addio di Ancelotti e il ritiro di Maldini costrinsero Berlusconi e Galliani a tentare una nuova rivoluzione, e qui arriviamo all’ennesima intuizione: Leonardo. Fin ad allora collaboratore e osservatore, si ritrovò improvvisamente sulla panchina dei rossoneri. L’esperienza durò un solo anno e non arrivarono trofei, ma il 4-2 e fantasia (con un Pato straordinario e il miglior Ronaldinho visto in rossonero) divertì tantissimo in Italia e anche in Europa – memorabile il 3-2 in rimonta al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid.

Per il post Leonardo la decisione di puntare su Massimiliano Allegri, reduce da ottime stagioni al Cagliari (dove giocava un calcio mai più rivisto nelle sue squadre). Ma soprattutto negli ultimi giorni di mercato arrivano Ibrahimovic e Robinho. Il fiuto gli dà ancora ragione, e Zlatan è uno straordinario leader carismatico e tecnico – insieme alle ultime forze della vecchia guardia. L’era Berlusconi ufficialmente si è conclusa nel 2017, ma quanto succede nell’estate del 2012 è la vera fine di tutto.

Gattuso, Seedorf, Inzaghi e Nesta vanno via, Ibrahimovic e Thiago Silva vengono ceduti per necessità di cassa. Allegri resta e la squadra cambia troppo e stavolta Galliani, in mancanza di fondi, non riesce a rinnovarla come dovrebbe. Inizia un lungo periodo di crisi, che porta all’inevitabile conclusione: la cessione del club nell’aprile del 2017 allo sconosciuto Yonghong Lì, dopo svariati tentativi. Si conclude così, dopo 31 anni, il ciclo Berlusconi, il presidente più vincente della storia del Milan e del calcio italiano. Un’era irripetibile, fatta di trionfi e di grandi campioni. Il suo ricordo resterà indelebile nella storia del club e del calcio mondiale.

Scritto da
Pasquale La Ragione