Rivera: “Il Milan una seconda famiglia. Rigiocherei la partita di Verona. Il futuro sono i giovani”

News Rivera Milan- Gianni Rivera è stato intervistato da Il Vero Milanista.it: di seguito le sue dichiarazioni:

Gianni, cos’è stato e cos’è per te il Milan?

Finché non mi sono sposato è stato la mia seconda famiglia, un ambiente bello, particolare, che mi ha messo subito a mio agio. Il Milan è la storia”.

Le tue sensazioni e i tuoi ricordi dell’approccio con il mondo Milan da giovanissimo?

Sono stato accolto molto bene, gli anziani di allora stavano vicino ai giovani, c’era una cultura dello spogliatoio, gli aiutavano a crescere. C’era una gerarchia rispettata, ma in cui chi arrivava si trovava subito a suo agio”.

Hai fatto parte della prima squadra italiana a vincere la Coppa dei Campioni (1963) spezzando il duopolio Benfica-Real Madrid. Che ricordo hai di Wembley?

Fu la prima grande vittoria, la prima squadra italiana a spezzare il duopolio spagnolo e portoghese. Il Milan ci era arrivato vicino nel 1958 ma poi era stato beffato. E’ stata una grande emozione: quello stadio, giocare contro Eusebio…una grandissima soddisfazione”.

La partita che ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Tutte le vittorie importanti per sono state decisive e al tempo stesso tesori da ricordare. Quando si scendeva in campo fondamentale era farlo per vincere. Le finali, le partite più importanti del campionato sono tutte tappe di una carriera che custodisco tra i miei ricordi più belli”.

La partita che vorresti dimenticare o rigiocare?

Una su tutte, la Fatal Verona, quel 5 a 3 che ci ha scucito uno scudetto dal petto. Quella gara ci ha invecchiati tutti, ricordo in particolare l’immagine e le ripercussioni negative che ebbe sulla vita di Nereo Rocco. Quello scudetto era meritato: venivamo dalla vittoria nella Coppa delle Coppe, quel Milan era una squadra fantastica, il destino era nelle nostre mani e lo abbiamo buttato. Sì, quella gara ci ha veramente invecchiati tutti”.

Con gli arbitri e in particolare con Lo Bello hai avuto grandi scontri. Lo rifaresti o saresti più accomodante?

Se c’è una cosa che non ho mai sopportato nella vita sono gli atteggiamenti, quando si va in campo siamo in ventidue e credo che la gente che va a vedere le partite vada soprattutto per vedere il gioco degli stessi ventidue non certo dell’arbitri. I protagonismi non mi sono mai piaciuti e ovviamente non le ho mai mandate a dire, avevamo punti di vista diversi”.

Da eccellente uomo di sport e da uomo copertina spesso alcuni giornalisti ti hanno bersagliato con soprannomi, alcuni gratuiti. Qualcuno di cui avresti fatto volentieri a meno e che ti ha particolarmente ferito?

I soprannomi mi hanno sempre divertito, sia quelli con accezione negativa sia anche quelli positivi. Sinceramente non mi hanno fatto mai né caldo né freddo, erano degli stereotipi che subivi e che quindi accettavi. Mi divertiva accorgermi che c’era una grande fantasia, era un gioco delle parti”.

Sei stato anche un comunicatore. Nei ricordi dei tifosi il tuo comizio prima di Milan-Bologna del 1979: rappresenta ancora oggi uno degli esempi di comunicazione tra curva, tifosi e giocatori. All’epoca non c’era discussione, semmai rispetto. Condividi?

Fui quasi obbligato dal questore, volente o non volente era una comunicazione necessaria che altrimenti non ci avrebbe portati a giocare quella sfida che per noi era assolutamente importante vista la posta in palio. I tifosi dovevano lasciare quello spazio inibito e quindi toccò a me, fui accolto da un ovazione al mio ingresso in campo perché pensavano fosse scesa la squadra, in realtà mi toccò quel discorso e riuscii a convincerli tutti”.

Nel 1979 si chiude un ciclo e la tua carriera da calciatore. L’obiettivo era lo scudetto della stella…

L’obiettivo era quello di vincere e quindi anche fregiarci della stella. Direi che fine carriera e supremo risultato sono arrivati insieme, e quindi va bene così. Sapevo che l’anno successivo avrebbe allenato Giacomini, uno con cui avevo giocato insieme e quindi francamente diventava difficile per me vedermi in un ruolo, quello del giocatore, con una persona con cui avevo diviso il campo. Sarei comunque arrivato al capolinea sportivo, la stella ha dato più enfasi a quell’addio”.

Il tuo ruolo all’interno della FIGC: quali sono gli obiettivi soprattutto a livello di educazione e i concetti che dobbiamo insegnare alle generazioni future?

Per noi è fondamentale il ruolo dei giovani, il nostro lavoro consiste proprio nel far comprendere alle società che i giovani rappresentano una risorsa e che quindi occorre puntare su di loro. Dobbiamo invogliare le società a investire in programmi e strutture. Naturalmente la Figc farà la sua parte”.

Per i tifosi rossoneri nati negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta Gianni Rivera rappresenta un idolo insuperabile. In conclusione ti chiediamo un messaggio per loro e uno invece per le giovani leve…
Ho avuto la fortuna di fare un lavoro che portasse avanti le mie passioni, quindi il messaggio è di riuscire a fare le cose che ogni persona ama fare e di farle con passione. Certo, non tutti possono diventare calciatori e di successo, ma saper vivere la propria passione con serenità sì. E se poi ci arriva il successo tanto di guadagnato. Ma se rimane la volontà di lavorare al meglio, qualsiasi cosa si farà sarà sempre fatta bene”.

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