Sacchi: “Il mio Milan lasciò il segno. Con Berlusconi un Rinascimento”

Arrigo Sacchi e Carlo Ancelotti (Getty Images)
Arrigo Sacchi e Carlo Ancelotti (Getty Images)

Un’altra lunga intervista ad Arrigo Sacchi stamane da parte del Corriere della Sera, per ripercorrere assieme al vate di Fusignano alcune storie ed aneddoti riguardo al suo Milan vincente e prestigioso, che ha cambiato il calcio in Italia tra fine anni ’80 e l’inizio dei ’90, riportando i colori rossoneri ad un livello talmente alto da diventare una delle squadre poi più titolate del mondo.

Sacchi parla subito del suo modo di vedere il calcio: “Ho sempre amato il mio lavoro senza ritegno. Per me il calcio è uno spettacolo sportivo, non una moderna versione dei giochi del Colosseo, e la vittoria è la conseguenza delle idee e del lavoro. La mia paranoia? In sei mesi avevamo vinto tutto col Milan. Festeggiamo con una cena. Baresi e Ancelotti mi dicono: siamo i migliori del mondo. Ho guardato l’orologio, erano le 23.30. Siamo i migliori ancora per mezzora, domani si riparte da zero. Ricordo che appena arrivato al Milan mi invitarono alla Bocconi. Uno studente mi chiese: come pensa, lei che non è stato un grande calciatore, di poter insegnare qualcosa ai campioni del Milan? Risposi: per fare il fantino non è necessario essere stato un cavallo. Fui fortunato, ancora, perché trovai dirigenti pazienti e competenti e giocatori magari diffidenti ma non prevenuti”.

Fondamentale il rapporto con Silvio Berlusconi per le vittorie del suo Milan: “Avevamo perso a Lecce con l’Espanyol, dopo quella partita non dormii, passai la notte a studiare il prossimo avversario, il Verona. La stampa mi attaccava. Chiamò Berlusconi: hai bisogno? Io: sì. Venne a Milanello, parlò alla squadra, spiegò che la società credeva nel mio lavoro e chi non era d’accordo poteva andare via. Quel Milan lasciò il segno sul campo, ma Berlusconi avviò il Rinascimento del nostro calcio: vincemmo noi e per anni le squadre italiane arrivarono sempre in fondo alle coppe. Van Basten invece mi criticava, non era felice. La partita dopo lo portai in panchina: stammi vicino, di sicuro sei in grado di darmi consigli preziosi. Un’altra società magari mi avrebbe cacciato”.

Infine un aneddotto su Carlo Ancelotti, suo allievo più fidato che Sacchi volle fortemente al Milan: “Ero a Parma, sentivo parlare tutti benissimo di Carlo. Ho sempre cercato l’uomo prima del giocatore. Lui aveva avuto gravi infortuni alle ginocchia, Berlusconi non era convinto: per le ginocchia e perché era una mezzala e io volevo metterlo davanti alla difesa. È l’interprete sbagliato per la tua musica, diceva. Ma alla fine Ancelotti arrivò, per fortuna”.

 

Redazione MilanLive.it

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