Milan, l’incubo di Wilkins: “L’alcol mi ha quasi distrutto”

Wilkins
Wilkins

Un buco profondo, il periodo più buio della sua vita. Ray Wilkins, ex centrocampista del Milan – 73 presenze e 2 reti dal 1984 al 1987 – 57 anni, ha preso coraggio dopo anni di voci sui suoi problemi personali e ha raccontato al Daily Mail la sua lunga battaglia contro depressione, alcol e una malattia debilitante come la colite ulcerosa, un’infiammazione all’intestino che ha tormentato anche una leggenda del canottaggio come Steve Redgrave e, tra i calciatori, lo scozzese Darren Fletcher del Manchester United. Wilkins è stato esonerato nei giorni scorsi dopo due mesi di lavoro nel Fulham, come assistente di Rene Meulensteen. Sul suo litigio con Brendan Rodgers, manager del Liverpool, sono circolate diverse versioni, compresa quella che Wilkins fosse ubriaco.

Le origini «Non è vero e una delle ragioni per cui ho deciso di parlare è che voglio raccontare la verità sulla mia storia. L’esonero al Chelsea, nel novembre 2010, mi ha fatto sprofondare in un buco profondo. Ho sofferto di depressione e uno stato mentale come questo favorisce l’uso di alcol. Alla fine, non sai dove finisca una cosa e cominci l’altra. Io ho sempre avuto problemi di insicurezza. All’età di 18 anni, quando divenni capitano delle giovanili del Chelsea, mi davano il Valium per calmarmi l’ansia. Ho sofferto di depressione anche alla fine della carriera, dopo l’addio al Qpr. Ero al capolinea, avevo 40 anni. Il senso di vuoto era opprimente. E’ dura rimpiazzare quello che ti dà lo sport. Mi sono ripreso solo lavorando. Allenare non è la stessa cosa che essere calciatore, ma il contatto con lo spogliatoio ti aiuta».

Il crollo «Il mio equilibrio precario crollò nuovamente quando il Chelsea mi licenziò nel novembre 2010. Pochi mesi prima, con Ancelotti avevamo vinto campionato e Coppa d’Inghilterra. In quel momento, anche se mi avessero affidato una squadra di ragazzini di 11 anni, avrei avuto problemi. Nel maggio 2012 mi fermarono con l’auto e al test dell’etilometro risultò un livello tre volte il limite consentito. Un giorno finalmente parlai con mia moglie Jackie e i ragazzi. Mi dissero “stai andando sempre più giù, hai bisogno di aiuto”. Mi rivolsi allora allo Sporting Chance, la struttura di supporto per atleti che soffrono di problemi mentali e dipendenze».

Consapevolezza Racconta: «Ho affrontato un lungo percorso, frequentando le riunioni degli alcolisti anonimi e dei tossicodipendenti anonimi. Ho cominciato anche a prendere sette pillole al giorno per combattere la colite ulcerosa. Lentamente sono rinato. Ora vado dallo psicoterapeuta una volta la settimana e le pasticche sono diminuite. La mia malattia è purtroppo imbarazzante. Ti costringe ad andare al bagno più volte il giorno. Io ho rischiato persino l’asportazione dell’intestino e di vivere con il “sacchetto”. Dopo il diverbio con Rodgers, non sono tornato in campo dopo l’intervallo perché stavo male, non perché ero ubriaco. Ora vorrei solo tornare a lavorare, in campo o con i media . Il peggio è passato. Ho accettato l’idea di essere un uomo malato e di curarmi. La consapevolezza mi ha aiutato a risalire il fiume».

Fonte: Gasport

Impostazioni privacy