Tassotti: “Inizio un’altra vita, ma fosse per me avrei continuato ad allenare”

Mauro Tassotti (getty images)
Mauro Tassotti (getty images)

La Gazzetta dello Sport di oggi ha intervistato Mauro Tassotti, storico ex difensore e vice-allenatore del Milan, che da questa stagione occuperà un nuovo ruolo in società, quello di osservatore dei giovani talenti e scout dall’occhio lungo. Ecco di seguito le dichiarazioni del ‘fedelissimo’ di Milanello: «Avrei anche continuato ad allenare, non ho deciso io di cambiare…». 

 

Non abbiamo dubbi. Però dovrà farsene una ragione.

«Non esageriamo, per me questo nuovo incarico non è un ripiego. Lo affronterò con entusiasmo, l’idea mi è piaciuta subito, anche perché continuerò a occuparmi dei nostri ragazzi. Nessuno mi ha obbligato, potevo anche scegliere di stare a casa». 

 

In questo caso invece qualche dubbio ce l’abbiamo.
«In effetti non mi ci vedo a stare fermo. D’altra parte avevo messo nel conto che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. E’ normale che un allenatore voglia portarsi dietro il proprio staff. Avrebbe potuto succedere ben prima. Io non ho rappresentato la normalità, io sono stato un’anomalia».

 

Com’è stato il momento in cui Galliani le ha comunicato che non sarebbe più stato l’allenatore in seconda?
«Non dev’essere stato facile nemmeno per lui. Mi ha detto “questo è il calcio…”, citando Florentino Perez. Ho pensato che il mondo che conoscevo avrebbe potuto finire. Almeno per un anno. E’ stato un attimo di smarrimento».

 

Lei ha iniziato a giocare col Milan nel 1980 e ad allenare nel ‘97: la mancanza del campo non rischia di essere un ostacolo troppo alto?
«Ancora non lo so. Cerco di “difendermi” provando a estraniarmi da tutto ciò che è campo. Non mi sono fatto coinvolgere da raduno e ritiro, non intendo restare ancorato a Milanello, anche perché frequenterò molto di più la sede. Non voglio che il mio primo pensiero del mattino sia conoscere i report dell’allenamento del giorno prima».

 

Come si svolgerà il suo nuovo lavoro nei dettagli?
«Dovrò seguire i ragazzi non solo in partita, ma anche in settimana. Valutare come crescono, parlarci, parlare coi loro allenatori. Andrò a trovarli per aiutarli. E a fine stagione dovrò dare dei giudizi, valutare se sono pronti per il Milan. Saranno circa 20-25 giocatori».

 

L’incarico ha risvolti interessanti, ma quando si parla di lei la domanda è sempre la stessa: perché non è mai stato «titolare» su una panchina?
«Ebbi l’opportunità quando smisi di allenare la Primavera rossonera. Avevo contatti con alcuni club, ad esempio il Chievo. Alla fine ho deciso di restare per motivi di carattere familiare».

 

Il suo nome è stato accostato anche alla panchina del Milan, in tante occasioni.
«Alleno in questo club dal ‘97: se avessero voluto darmi la prima squadra, lo avrebbero fatto. E se me lo avessero chiesto, avrei senz’altro accettato. Ma non me lo hanno chiesto, evidentemente mi hanno sempre ritenuto funzionale nel ruolo di vice. E poi devo dire che è subito andato tutto bene: con Ancelotti sono arrivati grandi successi, ero appagato dal mio lavoro».

 

Ancelotti è stato il tecnico con cui si è trovato meglio?
«Con lui ci ho anche giocato e quindi l’intesa è stata molto semplice e naturale. Mi sono trovato molto bene anche con Allegri. Mi è spiaciuto vederlo andar via ma sono felice che sia andato bene a Torino».

 

Pareva che lei dovesse seguirlo. Pentito di non averlo fatto?
«In quel frangente sono stato combattuto, ma andare in un altro club storico, per uno come me con tanti anni milanisti, sarebbe stato molto complicato».

 

Si è così trovato a lavorare prima con Seedorf e poi con Inzaghi. Si dice non proprio un idillio…
«E’ sembrato che ci fossero chissà quali problemi con Seedorf, ma lui aveva tutti i diritti di scegliersi i suoi collaboratori con cui confrontarsi. Diciamo che c’è stata qualche incomprensione più nella forma che nella sostanza. La panchina rialzata? Era un po’ angusta…». 

 

E Pippo?
«Siamo andati d’accordo su tutto, nessun tipo di problema con lui. Sono stato felice di accompagnarlo».

 

Lo scorso inverno lei ha detto che per il Milan non è possibile ripartire da zero ogni estate. Stavolta è cambiato il vento.
«Sì, è un’estate diversa, il club ha una gran voglia di tornare ai vertici. E in una lotta scudetto per la Juve sarebbe più difficile confrontarsi con club storicamente rivali come Milan e Inter, rispetto a Roma e Napoli. Il Milan può lottare per la Champions, e se sei bravo a stare lì, il passo per lo scudetto può essere breve».

 

Come vede la difesa? Mexes ha appena rinnovato.
«Mi fa piacere, si è sempre comportato bene. Ma ci sarebbe bisogno di prendere un bel centrale. Romagnoli mi piace, è un investimento economico importante, ma se fa bene fra qualche anno può valere il triplo».

 

De Sciglio, invece, ha vissuto un’involuzione profonda.
«Se lui e El Shaarawy dimostrano di essere quelli che conosciamo, si fa molto prima a tornare in alto. Purtroppo sono stati bersagliati dagli infortuni».

 

Un vecchio slogan di Arcore recita «Il Milan ai milanisti». Ora in panchina c’è addirittura un ex interista.
«Il Milan va dato agli allenatori bravi, e basta. A contare davvero sono successi e risultati».

 

 

Redazione MilanLive.it

 

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