Rivera: “Vi spiego perché ero scomodo. Milan straniero? I presidenti contano se vincono”

Gianni Rivera
Gianni Rivera

Gianni Rivera è uno dei simboli indiscussi del Milan. 20 anni di gloriosa carriera in rossonero da giocatore, è considerato fra i calciatori più forti della storia del calcio. A 72 anni, l’ex Goleden Boy ha deciso di scrivere e pubblicare la sua biografia. Ne ha parlato così in una lunga intervista ai microfoni de La Stampa.

AUTOBIOGRAFIA. Rivera spiega così perché ha deciso – finalmente – di scrivere questo libro dedicato alla sua vita e alla sua carriera: “È una vita che ci provano in tanti a convincermi, io ero fermo ai libri con Oreste del Buono, fine Anni Sessanta. Da allora ho continuato a prendere nota, a mettere via appunti in attesa di capire che cosa farne. Alla fine il libro me lo sono fatto da soloDevo ringraziare mia moglie che ha messo ordine alle cose e poi mio padre. Raccoglieva tutto quello che mi riguardava, articoli di giornale, foto, ogni dettaglio. Un’abitudine cominciata fin da quando stavo nelle giovanili dell’Alessandria“.

UN CAMPIONE. Una carriera, la sua, straordinaria, fatta di numeri incredibili e di numerosi titoli. Ma quando ha capito di essere un campione? “Abbastanza presto. A 17 anni ero titolare al Milan e anche i più anziani mi hanno accolto subito molto bene. Io ho sempre avuto un grande rispetto per le gerarchie, l’ho imparato facendo il servizio militare, ma vedendo loro che mi trattavano alla pari capii che ero sulla strada giusta“. Sul campo: “Dopo i Mondiali del ’66 finiti con la Corea, contro cui peraltro feci una delle mie migliori partite, il Milan mi fece capitano. Fu la svolta“.

CALCIATORE SCOMODO. Da sempre considerato un calciatore scomodo per le sue dichiarazioni, lo ha ribadito anche nel libro. Spiega così il perché: “Dicevo le cose che non andavano, quelle che magari sarebbe stato meglio le avessero dette i dirigenti. Ma ogni argomento era discusso nello spogliatoio, i compagni mandavano avanti me perché ero l’uomo bandiera e perché ero bravo sul campo: così potevo dire quel che pensavo. Poi ne pagavo le conseguenze. È sempre andata così nella mia vita, per questo forse gli scalini della salita si sono fermati, ma ormai è acqua passata“.

CALCIO ITALIANO. Rivera ha così parlato poi anche della situazione attuale del calcio italiano, fra stadi obsoleti e continui caso di razzismo e discriminazione: “Io non credo che quello sia razzismo. Nel calcio si è sempre messo in difficoltà l’avversario, non spacciamo per razzismo la cultura del tifoso che vuole sempre vincere.. Il razzismo esiste, ma sta nella società. E anche tra i bianchi, tra chi è ricco e chi è meno ricco. Quello negli stadi non è razzismo“.

SOCIETAMODELLO. Qual è attualmente la società da seguire come modello? Per Rivera non ci sono dubbi: “La Juventus. Lo stadio di proprietà le ha fatto fare un notevole passo in avanti, hanno un bel modo di condurre una società“. L’ex calciatore si è così espresso sulle cessioni di quote societarie a investitori stranieri di Inter e Milan: “Più ci si apre al mondo, meno il mondo ci farà paura. E poi contano le maglie di Inter e Milan, i presidenti sono importanti solo se fanno vincere“.

 

Redazione MilanLive.it

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