Coco: “Mi vedevo capitano del Milan. Via per colpa di Terim”

Pessotto Francesco Coco
Pessotto vs Francesco Coco (©Getty Images)

NEWS MILAN – Una carriera tra alti e bassi quella di Francesco Coco, catanese di nascita, e che ha vestito le maglie di Milan, Inter e Barcellona tra le altre. Cresciuto nelle giovanili rossonere, parentesi spagnola, poi lo scambio con Seedorf tra i club cugini.

A 42 anni, dopo la chiusura di carriera ad appena 30 anni, ora è ripartito da una scuola calcio a Napoli. I colleghi di Gianlucadimarzio.com lo hanno intervistato in esclusiva. Queste le sue principali dichiarazioni, anzitutto sull’andamento della sua carriera: “Nessuno pensa ai sacrifici fatti per arrivare a certi livelli. Quanta fatica costa realizzare un sogno. Perché quello è stato il calcio per me, anche se poi è diventato un incubo. Non ho mai toccato la cocaina. Non mi è mai interessata. L’educazione che mi ha dato mia madre mi ha sempre tenuto alla larga da certe schifezze. Dicevano che mi drogavo anche quando giocavo. Avrò fatto 1500 prove antidoping, altri prelievi del capello a sorpresa: mai niente. Bastava una serata fuori, una bella ragazza accanto e automaticamente ero un tossico. Ho accettato ogni cattiveria, ma questa non l’ho mai sopportata”.

L’esperienza al Milan, dalle giovanili alla prima squadra: “Mi riuscì tutto, ma forse quell’anno giocai anche partite migliori. Mi sentivo uno della famiglia. Ero l’ultimo prodotto delle giovanili dopo Albertini a giocare regolarmente in prima squadra. Credevo che sarei rimasto a vita, mi vedevo già capitano. Terim? Ci scontrammo subito. Era un’antipatia a pelle. Voleva riportare Maldini a sinistra. Avrei fatto solo panchina, nell’anno che portava al Mondiale. Giocai il pre-campionato, e all’esordio mi mise in panchina. Il giorno dopo andai da Galliani a Milanello e chiesi la cessione al Barcellona“.

Il trasferimento all’Inter, dopo l’esperienza spagnola: “Da gennaio iniziai ad avere contatti per andare all’Inter. Poi però, alla fine di aprile, arrivò la telefonata di Ancelotti. Due ore al telefono per convincermi a tornare. Per lui sarei andato a piedi a Milanello ma dissi che volevo che Galliani mi chiedesse in ginocchio di tornare”. 

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Poi racconta le problematiche extra-calcio, con le foto ritirate da Galliani e il processo Vallettopoli: “Stavo prendendo il sole nudo in barca coi miei migliori amici. Questo c’era nelle foto: sorrisi e qualche costume in meno. Niente di sessuale. Per me potevano anche uscire, non c’era nulla di compromettente. Accettai la decisione del Milan di non consentirne la diffusione, meno quella di pagare di tasca mia per qualche foto rubata”.

Il Mondiale del 2002, con l’eliminazione contro la Corea del Sud, poi l’infortunio con l’Inter e praticamente la chiusura della sua carriera: “Quell’arbitro che ci guardava con occhi da ebete prendendo decisioni folli. Ricordo quello sguardo perso nel vuoto e l’odore di aglio dello stadio: irrespirabile. Non fu una partita di calcio, la sensazione in campo era di non potere uscire vincitori in alcun modo dal campo. Infortunio? Dovevo stare fuori 40 giorni, invece rimasi fuori un anno e tre mesi. Qualcosa era andato storto. E pensare che il neurochirurgo che mi operò era un luminare. Ebbi paura di non riuscire più a camminare. Facevo fisioterapia e quando provavo a scendere con la sinistra, cadevo per terra. Non trovai il conforto di nessuno, fu un periodo terribile”. 

 

Giacomo Giuffrida – Redazione MilanLive.it

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