Sacchi: “Al Milan quattro anni splendidi, sbagliai a tornare nel ’97”

Arrigo Sacchi si racconta, per celebrare il suo compleanno, in una lunga intervista raccontando diversi aneddoti sul Milan.

Arrigo Sacchi
Arrigo Sacchi (©Getty Images)

Domani Arrigo Sacchi compirà settantacinque anni, la maggior parte dei quali ad insegnare calcio al mondo. Il tecnico di Fusignano è considerato uno dei più grandi innovatori del gioco e uno dei primi a imporre il pressing a tutto campo. Un sistema di gioco che ha fatto scuola e che ha permesso all’allenatore di entrare nell’olimpo dei pionieri del bel gioco.

Nei suoi primi quattro anni sulla panchina del Milan il tecnico romagnolo ha conquistato uno scudetto, due Champions League, due coppe intercontinentali, due supercoppe europee e una supercoppa italiana. Ai trionfi col Diavolo va inoltre aggiunta anche l’amara medaglia d’argento con la nazionale italiana ottenuta ai mondiali di USA 1994.


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Arrigo Sacchi è stato uno degli allenatori più influenti del calcio moderno: pressing alto, terzini che spingono e un sistema che imponeva un atletismo estremo. Un precursore del gioco moderno, seppur abbia deciso di abbandonare le panchine a soli cinquantacinque anni.

Domani il maestro di Fusignano spegnerà settantacinque candeline e sceglie di raccontarsi alla Gazzetta dello Sport. Ecco un estratto delle sue parole:

“Da bambino amavo l’Inter di Herrera. La vidi giocare a Padova contro la squadra di Nereo Rocco. Dopo quella gara rispose alle critiche cambiando il gioco, era molto offensivo”.

Sul rapporto con Berlusconi e Galliani:

Berlusconi mi voleva al Monza come direttore tecnico: mi aveva offerto una villa e un maggiordomo ma rifiutai, il mio tempo ne calcio è finito. Con Galliani ci siamo sentiti quando ha avuto il Covid, prima ha detto di essere asintomatico ma poi non mi ha più risposto… Per me i quattro anni assieme a lui sono stati un momento solo, non ce n’è uno più bello di altri”.

Sul calcio italiano:

Per me aveva ragione pelé a Euro 2000 quando mi disse che in Italia avevamo buoni giocatori ma che si rifiutavano di giocare. Baresi mi ha detto che nessuno si ricorda il mondiale del 1994 sostenendo che nessuna europea ha fatto così bene in una coppa del Mondo lontano dal vecchio continente”.

Sul ritorno al Milan nel 1997:

Il Milan era un malato gravo e volevo curarlo con una aspirina: mancava il gruppo e lo spirito di squadra, quindi mancava tutto”.

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